Molte imprese sono state costrette a chiudere per periodi più o meno lunghi a causa dell’emergenza pandemica, i consumi sono calati, la produzione media di rifiuti si è ridotta, ma a non essersi ancora ridotta in maniera sostanziale è la TARI, che anzi continua a rappresentare per le imprese un peso insostenibile e spesso ingiustificato.
È quanto emerge dai dati raccolti dal portale Confcommercio www.osservatoriotasselocali.it, che conferma il peso eccessivo della tassa sui rifiuti pagata da cittadini e imprese, caratterizzata da diversi fattori di iniquità. Primo fra tutti, la mancata applicazione del principio “chi più inquina più paga”, che dovrebbe invece ispirare la riparametrazione di tutte le tariffe.
Nel 2020 l’ammontare complessivo della Tari in Italia si è attestato su valori analoghi a quelli del 2019 (circa 9,73 miliardi di euro), nonostante sia stato quantificato un calo di più di 5 milioni di tonnellate di rifiuti, pari al 15% in meno rispetto all’anno precedente. Un calo che assorbe anche la produzione di dispositivi anti Covid (mascherine, in particolare) trattati come rifiuti indifferenziati: tra le 160mila e le 440mila tonnellate secondo le stime dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
Nel confronto tariffario con le altre regioni, stilato per le diverse tipologie di impresa del terziario, in generale la Toscana non è tra quelle che applicano la Tari più cara. Lo sono invece Liguria e Lazio. Ma le tariffe toscane sono comunque superiori alla media nazionale in quasi tutti i settori, con un record quando si parla di bar, caffè, pasticcerie. I baristi toscani, infatti, pagano una tariffa sui rifiuti più alta rispetto ai colleghi di tutte le altre regioni: una media di quasi 26 euro al metro quadrato, superiore di dieci euro rispetto al dato nazionale di 16.
A pagare di più per la Tari in Toscana sono cittadini e imprenditori del capoluogo di regione, Firenze, per un totale di 96 milioni di euro. Se si analizza la media di spesa pro capite, però, Firenze scende al quarto posto con un importo di 251,16 euro a testa, preceduta da Siena, in testa alla classifica con 273,70 euro, Lucca seconda con 258,34 e Massa terza con 254,05.
La provincia toscana più virtuosa per quantità di servizi erogati è Lucca (9), seguita a distanza da Firenze (5) e, al terzo posto a pari merito (4), da Arezzo, Grosseto, Livorno, Pistoia e Siena. Fanalino di coda Massa Carrara (3). E non è un caso se proprio Lucca registra anche la percentuale più alta di raccolta differenziata: 63,41%, contro una media regionale ferma al 40,54%. Firenze si piazza seconda anche in questa classifica con il 46,35%. Seguono Livorno con
39,37%, Siena 38,46%, Pistoia e Arezzo con il 37%, Grosseto 35,28%. In ultima posizione ancora Massa Carrara con la percentuale più bassa di raccolta differenziata: 27,21%.
Stando al confronto tariffario tra diverse tipologie di imprese, Firenze, Livorno e Siena risultano tra le province più care, Arezzo e Grosseto le più “convenienti”, ovviamente in senso relativo. Vale ad esempio per alberghi con e senza ristorante, campeggi, distributori carburanti, impianti sportivi, autolavaggio, piscine e impianti termali, autosaloni, fiere, negozi di abbigliamento, calzature, mobili, librerie e cartolerie, ferramenta, edicole, farmacie e tabaccherie.
Sul fronte “ristorazione” è invece Pistoia la provincia più cara: ristoranti, trattorie, osterie, pizzerie, mense, pub, birrerie lì pagano per la Tari una media di 37,3 euro a metro quadrato, contro le 35,5 di Livorno e le 26,9 di Firenze. A pagare meno sono i ristoratori di Arezzo e Grosseto, che pagano meno di un terzo dei colleghi pistoiesi (rispettivamente una media di 14,7 e 13,5 euro al metro quadrato).
Bar, caffè e pasticcerie toscane pagano di più a Livorno (29,4 euro), Pistoia (26,7). Seguono Firenze (20%) e le altre province, va un po’ meglio per i baristi grossetani e aretini, con una media di 10 euro a metro quadrato.
Sempre alla provincia di Livorno va il record della Tari più alta per supermercati, macellerie, panifici, rosticcerie e negozi di alimentari, che devono pagare oltre 20 euro al metro quadrato. Seconda Firenze con 19,3 euro. La provincia meno cara si conferma ancora una volta Arezzo con circa 7 euro. In pratica, un terzo della tariffa livornese.
Tra le categorie che, in generale, pagano di più per i rifiuti ci sono ortofrutta, pescherie, piante e fiori e pizza al taglio, giusto prima dei ristoranti. Il record è ancora una volta tutto livornese: nella città del cacciucco una pescheria o un negozio di frutta e verdura, ad esempio, pagano 44,5 euro al metro quadrato. Trasferendosi a Pistoia ne pagherebbero 40,8 e a Firenze 34,9. Assai meno cara la provincia di Arezzo con 13,2 euro. Per le discoteche, il primato della provincia più esosa va a Firenze (15,1 euro al metro quadrato).
“Le tariffe sono formulate dalle singole Amministrazioni Comunali, insieme agli enti gestori, secondo coefficienti basati su una differente attribuzione della parte fissa e variabile”, spiega il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “ecco perché esistono divari di costo anche importanti tra medesime categorie economiche, sempre a parità di condizioni e nella stessa provincia. Ma il problema principale è che molti Comuni continuano a registrare una spesa superiore rispetto ai propri fabbisogni. Uno spreco che ricade su famiglie e imprese”.
Il quadro delineato da Confcommercio risulta ancora più preoccupante considerando che proprio il 2020 avrebbe dovuto rappresentare una svolta. L’ARERA, l’autorità che ha assunto funzioni di regolazione e controllo in materia di rifiuti urbani, aveva infatti stabilito che nel corso del 2020 sarebbe dovuta diventare operativa l’adozione del Metodo Tariffario Rifiuti (MTR) incentrato sulla trasparenza e sull’efficienza dei costi del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, che avrebbe dovuto generare un abbattimento delle tariffe.
Nella realtà, solo il 21% dei Comuni ha recepito il nuovo Metodo Tariffario Rifiuti di ARERA. In Toscana lo hanno fatto Massa e Carrara, dove, per esempio, negozi di abbigliamento e calzature hanno visto diminuire del 50% la parte variabile della tariffa. Ma, in generale, nei Comuni che hanno impostato il nuovo metodo tariffario ARERA non si sono registrate le contrazioni della spesa attese né un efficientamento dei costi. E a poco è servita la decisione di alcune Amministrazioni Comunali di non ritoccare al rialzo le tariffe, visto il quadro critico dell’economia.
Sul fronte degli interventi posti in essere dall’Arera con la delibera n. 158 del 5 Maggio 2020 per ridurre la parte variabile della tassa tenuto conto della minore produzione dei rifiuti legata alla sospensione delle attività produttive per il COVID-19, pochi e, talvolta, contraddittori sono stati i risultati raggiunti. L’obiettivo della delibera era quello di indurre i Comuni al pieno ed integrale rispetto del principio europeo “chi inquina paga”: tale principio avrebbe dovuto guidare l’azione degli enti locali nel rideterminare le tariffe in considerazione del particolare periodo storico e degli effetti prodotti dall’emergenza epidemiologica sulle attività produttive. A dispetto della delibera dell’Autorità, i dati esaminati evidenziano come, a livello nazionale, il 60% dei Comuni abbia mantenuto le tariffe invariate, mentre il 17% le ha diminuite e il 23% addirittura aumentate.
“Alcuni Comuni, anche su sollecitazione della Confcommercio, comprendendo le difficoltà oggettive in cui versavano molte imprese hanno bloccato le tariffe o applicato riduzioni per le categorie più colpite da un calo consistente di fatturato”, fa sapere il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni. “Purtroppo, non si è trattato di interventi decisivi e, in più, poco o nulla è stato fatto per le attività che sono rimaste aperte ma che hanno comunque avuto cali di fatturato, a seguito delle restrizioni negli spostamenti e negli orari e alla minor propensione dei cittadini a uscire e consumare. Ci auguriamo che su questa partita si possa intraprendere un dialogo costruttivo con i Comuni e gli enti gestori”.
“Servono interventi strutturali affinché venga recepito il nuovo metodo tariffario determinato dall’Arera, vincolando la Tari al rispetto del principio europeo “chi inquina paga” – aggiunge Marinoni - Ma servono anche misure emergenziali, visto il perdurare della diffusione epidemiologica da Covid-19. Chiediamo allora che siano esentate dal pagamento della Tassa tutte quelle imprese che, anche nel 2021, sono e saranno costrette a chiusure dell’attività o a riduzioni di orario. Analoghe misure dovranno essere riconosciute in favore di tutte le altre imprese che, pur rimanendo in esercizio, registreranno comunque un calo del fatturato – e, quindi, dei rifiuti prodotti - a causa della contrazione dei consumi”.