Divieto di asporto, “condanna a morte per i piccoli bar”





















“Il divieto di asporto dopo le ore 18 per i codici Ateco 56.3 (bar senza cucina) e 47.25 (commercio al dettaglio di bevande) cala come una mannaia su migliaia di piccoli bar e attività che finora hanno animato i nostri centri storici e i paesi. Non ha alcun senso dal punto di vista della sicurezza ed è evidente che sia solo un modo per scaricare sulle imprese l’incapacità dello Stato di gestire l’ordine pubblico”. Lo dice il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, che conferma così la posizione di netta contrarietà della sua associazione alla norma contenuta nell’ultimo Dpcm approvato dal Consiglio dei Ministri il 14 gennaio scorso.


“La priorità di tutti, ormai da un anno, è contenere la pandemia. E questo si fa con il rispetto delle regole fissate dai protocolli di sicurezza e con il buon senso e l’intelligenza di tutti, imprenditori e cittadini. Ecco perché servono più controlli: per reprimere chi fa il furbo ma lasciar vivere tutti gli altri che invece le regole le osservano con diligenza”, prosegue Marinoni. “Invece, per fare prima, si decide di impedire di lavorare a qualcuno sì e a qualcuno no, creando tra le imprese figli e figliastri, che aumentano con l’aumentare dei Dpcm. Questo mentre file e assembramenti continuano ad essere tollerati sui mezzi di trasporto pubblico, nei supermercati o nelle strade cittadine anche con i pubblici esercizi chiusi, come accaduto la settimana scorsa a Lucca e in qualche altra città toscana”.


“Liquidare il tema della movida mettendo in capo ogni responsabilità ai gestori dei locali è non vedere la realtà. Si tratta infatti di un fenomeno sociale che va gestito con strumenti, anche psicologici e culturali, adeguati. Riguarda una generazione che ora, evidentemente, si sente allo sbando. E se i gestori sono chiamati a rispondere della sicurezza dentro i loro locali, non possono certo risolvere quel “male di vivere” che porta i giovani allo sballo senza regole. Va studiato e governato in ben altro modo, con il coinvolgimento di famiglie, scuole, istituzioni. Neppure la repressione basta a risolverlo, anche se non guasterebbe un presidio rinforzato. Poi c’è il problema degli spazi: quelli privati come i nostri sono controllati, ma quelli pubblici come le piazze chi li gestisce anche dal punto di vista sanitario, facendo rispettare distanziamento e altre regole? Ma continuiamo pure a dire che è tutta colpa dei baristi…”


Secondo Confcommercio Toscana, l’esperienza collettiva del Covid19 è destinata a cambiare profondamente il mondo dei pubblici esercizi e non solo: “molto del nostro stile di vita e di consumo è già cambiato e non tornerà come prima. Ristoranti e bar che hanno spazi più ampi potranno dare più garanzia di sicurezza per il consumo interno, i locali più piccoli dovranno invece reinventarsi, puntando di più su asporto e consegna a domicilio. Ma non è un processo che può avvenire dall’oggi al domani. Le imprese andranno accompagnate e sostenute, per esempio abbattendo i costi fissi – utenze, affitti, tasse, costo del lavoro – fino a che i ricavi continueranno a languire. Il rischio è che le più non sopravvivano, come abbiamo più volte denunciato. Dei 21mila pubblici esercizi che esistevano in Toscana nel 2019 cosa resterà fra sei mesi, di questo passo? Un quarto almeno è destinato a scomparire. E con loro l’occupazione che esprimevano. Ma dovremo dire addio anche ad un modello di ospitalità e accoglienza al quale siamo abituati da generazioni”.













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