La tassa sui rifiuti che grava sulle imprese toscane è fra le più alte d’Italia. Lo dimostra l’indagine dell’ufficio studi di Confcommercio, che regione per regione, provincia per provincia, ha confrontato le aliquote medie Tari applicate per metro quadrato alle diverse tipologie di attività economiche in tutte le regioni italiane, con riferimento all’anno 2016.
A onor del vero, la “maglia nera” della classifica nazionale va a Liguria, Campania e Sicilia, che su ogni tipologia di impresa applicano tariffe abbondantemente sopra la media nazionale. Il Trentino Alto Adige emerge invece come la regione più virtuosa, con tariffe fino a tre volte inferiori rispetto alla media nazionale.
Restando nell’ambito del terziario, è eclatante il caso dei ristoranti: quelli toscani pagano ben 22,69 euro al metro quadrato per lo smaltimento dei rifiuti, in pratica quasi il doppio della media nazionale, pari a € 13,72. Va peggio solo per i ristoranti liguri, che di euro ne sborsano più di 26, ma va decisamente meglio per quelli del Trentino, fermi a € 7,71.
Anche ortofrutta e pescherie sono fortemente penalizzate dal trovarsi in Toscana, dove sono costrette a sborsare quasi 26 euro (25,91) al metro quadrato contro una media nazionale di 15,05. Non va meglio per i colleghi liguri, che ne pagano oltre 35, mentre in Sardegna la tassa è ferma a € 7,07.Sul fronte dei bar, quelli toscani pagano fino a quasi € 18 (17,81) al metro quadrato contro i 10,68 della media nazionale. In Trentino ne pagherebbero 5,58. Va sempre peggio per i liguri, che ne pagano quasi 23. Ma mal comune non è affatto mezzo gaudio, secondo Confcommercio Toscana
“Questa disparità di tariffe fra categoria e categoria, fra regione e regione e addirittura fra provincia e provincia, è inaccettabile perché mina il regime di libera concorrenza e frena la competitività delle imprese che hanno la sfortuna di operare in certi luoghi, mentre dovrebbe valere un solo principio: chi più inquina, più paga”, dice il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “al danno, poi, si aggiunge anche la beffa: non è detto infatti che a tassazione più elevata corrispondano necessariamente migliori servizi”.
“Le aziende non hanno le ruote e non possono spostarsi nei luoghi dove la tassazione è più equa. Eppure, per tutti i territori la presenza delle imprese dovrebbe essere un valore aggiunto da custodire e tutelare. Perché continuare a considerarle solo come mucche da mungere? – prosegue Marinoni – la TARI pagata da cittadini e imprese si conferma in continua crescita nonostante una significativa riduzione nella produzione dei rifiuti e rappresenta un peso insostenibile e spesso ingiustificato. C’è bisogno di un giro di vite per dire basta a sprechi e sperequazioni nel sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti”.
Il cahiers de doléances scandito dalla ricerca di Confcommercio si estende a tutte le aree del terziario. Qualche altro caso fra quelli raccolti da Confcommercio: per lo stesso metro quadrato un negozio di abbigliamento toscano corrisponde fino ad € 5,29, contro la media italiana del € 4,09. In Liguria ne pagherebbe 9,44, la cifra più alta d’Italia, in Trentino 1,66. E ancora: un albergo con ristorante paga in media € 4,73 a metro quadrato per lo smaltimento dei rifiuti, in Toscana lo stesso albergo ne paga € 6,51, € 8,19 se fosse in Liguria. Ma se si “spostasse” in Trentino Alto Adige, invece, ne pagherebbe solo € 1,86.
La disparità territoriale delle tariffe è evidente anche nel confronto fra i Comuni capoluogo. “In Toscana le imprese del terziario più penalizzate sul fronte Tari sono quelle fiorentine e livornesi”, sottolinea il direttore di Confcommercio Toscana. Qualche esempio? La quota Tari per una discoteca di Firenze è di 15,43 euro a metro quadrato, più del triplo di quanto pagherebbe se fosse nel comune di Arezzo, dove la tassa è più vicina alla media nazionale di 5,52 euro. Non va meglio, ad esempio, per le pescherie di Livorno, che arrivano a pagare fino ad 45,98 euro al metro quadrato, una cifra tre volte superiore a quella media italiana, che arriva a 15,07 euro, e più alta di venti euro rispetto alla media toscana. “Ma nel settore pescherie/ortofrutta tutti i capoluoghi toscani sono più cari della media nazionale, fatta eccezione per Arezzo, che a dire il vero applica cifre più contenute della media a tutte le attività”.
Stando alla spesa per i rifiuti, per il 50% dei Comuni capoluogo toscani (contro il 62% di quelli nazionali) è superiore rispetto ai propri fabbisogni. Per determinarlo, Confcommercio ha studiato i dati di www.opencivitas.it, il sito promosso dal Dipartimento delle Finanze e dalla SOSE per determinare i fabbisogni standard delle varie amministrazioni locali.La medaglia d’oro dell’efficienza se la aggiudica Lucca: non solo spende 2,5 milioni di euro in meno rispetto al suo fabbisogno (-10,89 in valore percentuale), ma offre un livello di servizi molto alto, giudicato in un bel “9” in una scala da 1 a 10. Tra i capoluoghi virtuosi per il contenimento delle spese ci sono anche Pistoia (-32,77%), Prato (-27,76%), Arezzo (-24,17%) e Firenze (-2,55%), ma con performance decisamente inferiori sul livello dei servizi (quattro punti su dieci, cinque per Prato).
Le altre città capoluogo spendono tutte più di quanto sarebbe necessario, ma è Livorno con il +36,33% a conquistare la maglia, per nulla invidiabile, del Comune più spendaccione e meno virtuoso.“L’intero sistema tariffario dei rifiuti va rivisto con urgenza”, dice in conclusione il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “qualcosa non funziona, se le nostre imprese sborsano cifra altissime, i Comuni spendono più di quanto sarebbe necessario e i servizi garantiti sono lontani dall’eccellenza”.
Confcommercio formula dunque nel dettaglio alcune richieste: “va superata una volta per tutte la logica dei coefficienti presuntivi di produzione e si deve invece tenere conto di specifiche esenzioni/agevolazioni per le attività stagionali e per le aree scoperte operative. Va inoltre confermato il principio secondo il quale il tributo non è dovuto, né in parte fissa né in parte variabile, per i rifiuti che il produttore dimostri di aver avviato a recupero, come nel caso degli scarti di macelleria o degli oli esausti per i ristoranti. Sarà fondamentale, infine, introdurre misure che leghino in maniera sempre più vincolante la determinazione dei costi del servizio a parametri di efficienza e a misure volte a garantire un’equa e oggettiva ripartizione tra la componente domestica e non domestica e tra parte fissa e variabile”.