“Sta esplodendo il malcontento fra gli imprenditori del terziario, in Toscana come nel resto d’Italia. Ma più che chiedere sostegni a fondo perduto ed esenzioni fiscali e contributive in tanti chiedono di poter lavorare. Nessuno vuole l’elemosina di stato - perché questo finora sono stati i ristori -, vogliono il rispetto della dignità del proprio lavoro, vogliono poter mantenere l’occupazione, vogliono salvare le loro imprese, che di questo passo saranno destinate al fallimento”. La presidente di Confcommercio Toscana Anna Lapini non nasconde la sua preoccupazione e si fa portavoce del malessere dei colleghi di commercio, turismo e servizi.
“C’è chi è stato obbligato a chiudere e ancora non ne capisce il motivo: il governo dovrebbe spiegare ad un gioielliere o ad un commerciante di pelletteria perché il loro piccolo negozio, più di un supermercato, può diventare un pericoloso luogo di assembramento nonché focolaio di Covid19”, prosegue la presidente Lapini, “per qualcuno, poi, al danno si è aggiunta la beffa: i negozi di calzature per adulti sono stati costretti a fermare l’attività ma sono stati pure esclusi dai ristori. Ed escluse dai ristori sono anche tante categorie che pure hanno visto crollare i fatturati in questi mesi, come gli agenti di commercio, i fioristi, la distribuzione automatica, gli atelier di abiti da sposa, le scuole di lingua, le professioni ordinistiche. Non vogliamo credere che per il governo siano figli di un dio minore, ma se la loro esclusione è solo frutto di una svista, si provveda subito ad integrare i codici Ateco mancanti dall’elenco”.
“Non è solo questione di codici Ateco”, aggiunge il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, “il fatto è che i ristori dovrebbero esserci per tutti coloro che hanno subito un danno economico da questa situazione, nessuno escluso, dipendenti come imprenditori. Se il nostro è un paese unito, deve farsi carico per intero di questa crisi, non può scaricarla solo sulle spalle delle imprese private. Il rischio è che le veda decimate, una volta che saremo fuori da questo lungo tunnel che stiamo attraversando. E perdere le imprese vuol dire perdere occupazione, ricchezza, benessere e servizi per i nostri territori. Sono in gioco la qualità della vita e dell’accoglienza, valori essenziali anche per il rilancio del turismo”.
No, quindi, ai ristori assegnati per codice Ateco o per aree territoriali rosse, arancioni, gialle: “ovunque ci sono imprese e professionisti che hanno perso parte importante del fatturato. Sarebbe meglio concedere i contributi valutando la percentuale di perdita rispetto al 2019. Un parametro incontrovertibile”, dice Marinoni.
“In ogni caso”, conclude la presidente della Confcommercio Toscana Anna Lapini, “noi vogliamo soprattutto lavorare. Vogliamo tornare nelle nostre attività ed accogliere i clienti con tutte le precauzioni del caso, nel pieno rispetto dei protocolli antiCovid. Anche per noi la sicurezza è il primo principio che vale: nessuno vuole ammalarsi né far ammalare le nostre famiglie, i clienti e i collaboratori. Vogliamo e dobbiamo imparare a convivere con questa pandemia. Invece, il governo continua a chiederci di trattenere il fiato fino a che non sarà finita, senza capire che per molti di noi potrebbe essere troppo tardi…”.