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Arezzo perde oltre 220 negozi tradizionali in dieci anni

La Confcommercio aretina ha diffuso i dati locali emersi dal settimo Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane, realizzato a livello nazionale da Confcommercio con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne. Il calo più forte interessa i negozi di moda, casalinghi e articoli per la casa, cartolerie e giocattoli. Scendono anche le imprese del commercio ambulante. Unici con il segno più farmacie e parafarmacie (+13), i negozi di servizi informatici, infotainment domestico e telefonia in centro storico (+11), le aziende di commercio elettronico (+38). In compenso continua a crescere il settore della ricettività extralberghiera e della ristorazione (+76), nonostante la battuta d’arresto della pandemia.


La città di Arezzo ha perso oltre 220 negozi su strada in dieci anni, dal 2012 al giugno 2021, soprattutto nei settori del non alimentare più “maturi”, come moda, casalinghi e articoli per la casa, cartolerie e giocattoli. Segno negativo anche per il commercio ambulante. Gli unici esercizi che resistono, anzi aumentano in numero e fatturato, sono farmacie e parafarmacie, sia in centro sia nelle periferie (+13), poi le attività del centro storico che offrono servizi informatici, infotainment domestico e telefonia (+11). A crescere sono poi le imprese di commercio elettronico (+38), che sempre più spesso nascono per affiancare la vendita nel negozio fisico. Nulla però, è sufficiente a compensare il numero di imprese che hanno tirato giù la saracinesca per sempre.

Ma se la rete distributiva tradizionale è in sofferenza, turismo e ristorazione vivono ancora una fase di sviluppo, nonostante la battuta d’arresto della pandemia: + 76 le aziende nate negli ultimi dieci anni, delle quali 51 fuori dal centro storico. Si tratta, per la maggior parte di bar, ristoranti e strutture ricettive extralberghiere, come bed&breakfast.

I dati, elaborati a livello territoriale dalla Confcommercio aretina, derivano dalla settima edizione dell’Osservatorio sulla demografia d’impresa nelle città italiane e nei centri storici diffuso ieri (1° marzo 2022) da Confcommercio nazionale con il contributo del Centro Studi delle Camere di Commercio G. Tagliacarne. L’indagine ha preso in esame 120 città italiane, in Toscana i dieci capoluoghi di provincia.

Il quadro aretino è in linea con la situazione regionale, dove a mancare l’appello dal 2012 sono oltre duemila negozi (2.079 per l’esattezza). 236 quelli scomparsi nel solo periodo pandemico, nella differenza tra 2019 e giugno 2021. E non va meglio a livello nazionale, dove nello stesso arco temporale sono scomparsi ben 85mila negozi su strada, 4.500 dei quali durante la pandemia. Ma se le botteghe “sotto casa” diminuiscono, in compenso salgono un po’ ovunque e-commerce, ricettività extralberghiera, bar e ristoranti. Il calo delle botteghe in Toscana, almeno a livello percentuale, interessa in maniera pressoché simile sia i centri storici, che segnano un -12,3% di esercizi, sia le aree di periferia, dove si sale al -12,8%.

“Anche la nostra città sta cambiando volto, sebbene alcuni fenomeni come lo smartworking o la mobilità differente, che stanno rivoluzionando altri centri in Italia, da noi siano meno evidenti – commenta il presidente della Confcommercio aretina Francesco Butali – gli aretini restano ancora legati ai negozi di quartiere, che restano punti di riferimento imprescindibile; amano fare shopping passeggiando, insomma vivono la città. Questo ha permesso alle attività del nostro centro storico di resistere bene anche nei periodi pandemici più duri, quando altri centri storici toscani invece erano in grande sofferenza per la mancanza di turismo che si faceva e si fa sentire su tutti i comparti, dagli alberghi al commercio. Dobbiamo tenere però alta la guardia per non rischiare che la nostra città perda pezzi importanti: meno negozi sotto casa vuol dire meno servizi per i turisti e i residenti, soprattutto quelli delle fasce più deboli come gli anziani. Ma vuol dire anche minor presidio delle strade”.

“Lo studio di Confcommercio evidenzia come la crisi del commercio tradizionale non sia imputabile al Covid, ma ad una contrazione dei consumi in atto già da prima, ora aggravata dalla difficile congiuntura economica internazionale, tra inflazione, aumento dei costi delle materie prime e timore del futuro”, spiega il direttore di Confcommercio Toscana Franco Marinoni, che sottolinea: “a cambiare è anche lo stile di vita e di consumo delle famiglie, che ora privilegiano temi come la salute, il benessere, l’intrattenimento. E questo spiega anche la crescita del comparto ristorativo, che è in atto a livello numerico, ma non sempre di fatturato. Poi spiega il fenomeno dell’online, che nel periodo pandemico si è rivelato strategico pure per implementare gli affari dei negozi in sede fissa. Non c’è più solo competizione tra i due mondi del reale e del virtuale”.

Per quanto riguarda la crescita della ricettività, “il fenomeno potrebbe ancora ricondursi alla necessità di mettere a reddito il patrimonio immobiliare. Ecco perché il boom di affittacamere e b&b nelle seconde case di famiglia (e l’analisi prende in esame solo quelli con partita Iva!) – dice Marinoni - Ma il Covid ha svelato la fragilità di questo sistema così frammentato di fare accoglienza turistica, dove la redditività resta un miraggio per chi si improvvisa del mestiere. Ipotizziamo quindi un ridimensionamento nell’immediato futuro”.

Secondo Confcommercio, è quindi necessario trovare un modello di governance urbana da applicare nel medio-lungo termine, che rispetti la vocazione e la storia di ogni centro e dia risposte concrete all'economia reale e alla vita quotidiana di cittadini e imprenditori. “A livello locale ci vogliono alleanze strategiche con le Amministrazioni, per definire strategie condivise. L’obiettivo di tutti deve essere contrastare i fenomeni di desertificazione commerciale e valorizzare il tessuto economico in tutte le sue forme e funzioni, incluse quelle di attrazione culturale e turistica, di sostenibilità di quartiere e di innovazione capillare e diffusa, migliorando al contempo la qualità urbana e la coesione sociale”.

In questa direzione, per l’associazione di categoria diventa utile “un reale coinvolgimento del territorio e una maggiore integrazione progettuale tra i temi urbanistici e quelli economici, al fine di usare efficacemente i finanziamenti disponibili, a partire dalle opportunità contenute nel Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) per la rigenerazione urbana ma anche con riferimento alle ulteriori risorse per le città previste dalla nuova Politica di coesione 2021-2027. Nel prossimo settennio, infatti, anche la programmazione europea, in maniera più decisa rispetto alle precedenti, pone il territorio e le città al centro degli obiettivi di policy con il fine promuovere uno sviluppo integrato e realizzare strategie urbane sostenibili”.
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