Pizzaiolo, una figura da riscoprire







Renato Pancini













“I pizzaioli? Quelli davvero bravi sono più rari degli chef stellati”. Parola di Renato Pancini, presidente dell’Associazione Pizzerie Aretine nata in seno alla Confcommercio. “Facciamo fatica a trovare persone preparate per svolgere sia il ruolo di primo pizzaiolo che quello di aiutante, le due figure cardine delle nostre cucine”, spiega Pancini, “le ragioni sono molteplici. Una delle più rilevanti è la mancanza quasi assoluta di manualità dei giovani. Un tempo anche a scuola, nelle ore di educazione tecnica, si imparava a lavorare con le mani, oggi lo sanno fare in pochi, si è persa l’abitudine al lavoro manuale che invece è la base del nostro mestiere”.


L’altro elemento che rende difficile l’approccio dei giovani alla figura del pizzaiolo  è relativo alla distribuzione fra tempi di vita e di lavoro. “La nostra è una vita al contrario”, dice sorridendo, “lavoriamo quando gli altri si divertono. Di sera fino a tarda notte, nel fine settimana, nelle feste comandate. È chiaro che questo incide sulla vita privata, sottrae tempo alla famiglia e non sempre si regge allo stress. Per questo bisogna avere davvero grande passione per stare in una pizzeria. Ma è anche un mondo molto affascinante, pieno di energia, che restituisce tanto in termini di soddisfazione”.


Chi volesse sperimentarsi nel mestiere può ora iniziare dall’”abc”, frequentando il corso di formazione organizzato ad Arezzo dalla Confcommercio, che fra aprile e maggio partirà in ben due edizioni: una pomeridiana e l’altra serale, per permettere anche a chi eventualmente avesse un’occupazione di frequentare le lezioni.


“Si tratta di un percorso di 40 ore che si terrà nelle aule della rinnovata Accademia del Gusto, in via Newton 36, zona Pratacci”, spiega il direttore dell’area formazione di Confcommercio Stefano Orlandi, “si parte dalla storia di pizza e focaccia per approfondire la classificazione delle farine, le varie tipologie di impasti con particolare attenzione alle regole per una lievitazione che garantisca l’ottima digeribilità del prodotto. C’è anche una parte specifica in cui si potrà sperimentare dal vivo tutto il procedimento: l’impasto, la lievitazione, la formazione delle palline, la stesura della pasta e la sua farcitura fino alla cottura nei forni”.


“Pizza al metro o al piatto, focacce, pizza dessert: ogni prodotto richiede di mettere a punto procedimenti diversi. Al momento dell’impiattamento tutto deve essere perfetto, anche dal punto di vista estetico”, sottolinea il presidente delle Pizzerie Aretine Renato Pancini, che ribadisce l’importanza della pratica: “in 40 ore ci si può costruire una solida base teorica, sulla quale però va impiantata la pratica, anche a costo di sprecare molti chili di farina. E serve esperienza anche per  imparare bene a gestire il magazzino, evadere gli ordini e molto altro. Insomma, non si esaurisce tutto in cucina”. Auspica quindi il ritorno a forme diverse e più flessibili di apprendistato: “per i primi mesi il nuovo dipendente è impegnato solo ad imparare, praticamente è solo un costo per l’azienda, anche perché ha bisogno di essere affiancato costantemente da un lavoratore esperto che gli possa trasmettere il sapere. Per questo gli enti preposti dovrebbero pensare a soluzioni più pratiche per ovviare ai problemi dei primi tempi di inserimento. Poi la voglia di imparare, la buona volontà e l’esperienza piano piano faranno il resto”.


Pancini pone poi l’attenzione anche su un’altra figura di cui spesso i locali lamentano la mancanza: il cameriere di sala. “È di moda stare in cucina: tutti vogliono fare gli chef invece servirebbe personale preparato a gestire la sala. Non si tratta solo di raccogliere gli ordini e portare i piatti pronti, quello lo sanno fare tutti, ma di promuovere il locale a 360 gradi, spingendo le vendite, quindi convincendo il cliente ad ordinare una portata in più, o magari un vino. Insomma, si può essere bravi e professionali quanto si vuole in cucina, ma se non si ha un cameriere in grado di raccontare questa bravura, di farla emergere raccontando i piatti, è tutto inutile”. Lo storytelling, insomma, funziona anche in pizzeria. 













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