Nei giorni scorsi la stampa locale e non solo ha dato voce al grido di allarme del mondo agricolo sul divario tra il prezzo del grano e quello del pane.
“Questa denuncia – replicano le Associazioni Panificatori di Confartigianato Imprese Arezzo e Confcommercio Arezzo – seppur a difesa degli imprenditori agricoli di cui comprendiamo le difficoltà, ci lascia interdetti per più di un motivo. Pur ammettendo l’aspetto non remunerativo legato al costo del grano, non possiamo accettare che si parli del prezzo finale del pane come se fosse semplicemente legato alla discrezionalità dei panificatori o, peggio, a motivi di bieco profitto”.
“Nell’elaborazione del prezzo di vendita di un prodotto trasformato come il pane si deve tenere conto di tutta una serie di costi che gravano sulle imprese artigiane - proseguono Confartigianato e Confcommercio – impianti e macchinari, manutenzione e controlli di sicurezza, energia, manodopera e costi superiori del lavoro notturno, e via dicendo. Non si tratta quindi semplicemente, come riporta invece la nota degli agricoltori, di “impastare gli 800 gr. di farina ottenuti da un chilo di grano con l’acqua per ottenere un chilo di prodotto finito”. E non è vero che un chilo di pane comune arriva a costare oltre 3 euro, fatta eccezione per le tipologie di pane realizzate con grani particolari, per le quali il consumatore è consapevolmente disposto a pagare un prezzo più alto. C’è poi un’altra realtà che rende sempre più difficile il mestiere di panificatore: anche nella nostra Toscana, dove il pane ha pure lunga tradizione sulle tavole, negli ultimi 40 anni il consumo medio si è ridotto di oltre due terzi. Sta diventando quasi un prodotto di nicchia, da tutelare”.
I panificatori sottolineano anche un’altra incongruenza, ovvero il raffronto con pagnotte e panini provenienti dall’estero che niente hanno a che vedere con le produzioni italiane e locali. Da sempre i panificatori combattono attraverso le loro Associazioni di rappresentanza per fare in modo che i prodotti da forno esteri non solo siano identificati come “non freschi” ma siano riconoscibili per il consumatore che in tal modo può fare un acquisto consapevole. E a tale proposito proprio su spinta delle Associazioni di Categoria dei Panificatori nel 2018 è stato pubblicato il Decreto Interministeriale n. 131 recante disciplina della denominazione di “Panificio”, “Pane Fresco” e dell’adozione della dicitura “pane conservato” che prevede anche scaffali distinti di vendita nella grande distribuzione.