Il recente Decreto Dignità, agli articoli 1 e 6, ha introdotto alcune sostanziali modifiche nella disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato.
Non potranno più durare fino a 36 mesi, come accadeva finora, ma al massimo 12 mesi oppure 24, in caso di proroga, ma solo in presenza di esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori; o in presenza di esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività.
Non può superare i 24 mesi neppure la durata complessiva dei rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi ed escluse le attività stagionali.
Qualora il limite dei 24 mesi venga superato, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Ad eccezione dei contratti di durata non superiore a 12 giorni, l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta da atto scritto, una copia del quale deve essere consegnata dal datore di lavoro al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. In caso di rinnovo o proroghe superiori a 12 mesi, l’atto deve contenere l’indicazione delle predette esigenze (temporanee ed oggettive, o connesse ad incrementi temporanei) in base alle quali è stipulato.
Il Decreto Dignità ha inoltre aumentato il contributo addizionale dovuto per i contratti a tempo determinato stipulati con imprese private, stabilendo che l’importo finora previsto, dell’1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, sia incrementato dello 0,5% in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione.
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