Come evitare che lo stress da lavoro ci rovini la vita, facendoci precipitare in una condizione di disagio e malessere sia fisico che psicologico.
(a cura della dott.ssa Simona Turchetti)
Inizialmente, la sindrome del burnout era stata correlata squisitamente alle cosiddette "helping professions", cioè le professioni sanitarie e assistenziali. In seguito, si è riconosciuto che il burnout può associarsi a qualsiasi contesto lavorativo in cui esistano forti condizioni stressanti e pressanti.
La situazione di stress e incertezza economica generata dall’emergenza sanitaria Covid-19 che abbiamo vissuto non ha giocato a nostro favore in questo contesto, perché ha costretto molti di noi a cambiare abitudini e modalità di lavoro.
I “fortunati” che durante le chiusure potevano lavorare (in presenza o in smartworking) si caricavano il doppio per uno schiacciante senso del dovere, non potevano lamentarsi, perché quelle lamentele avevano il sapore dell’ingratitudine.
“Almeno tu lavori!”, “Beato te che vai a lavorare”, “Pensa a tutti quelli che non possono lavorare” queste erano le tipiche risposte al primo segno di stanchezza. Anche se ti sentivi stanco non lo potevi dire perché quella stanchezza non veniva riconosciuta, e non viene vista tutt’ora, anzi viene rigirata contro come una colpa, un’inadeguatezza, un’ingratitudine verso la propria “fortuna”.
Quando tutti siamo tornati alla “normalità lavorativa” in molti hanno sentito il peso della responsabilità di dover recuperare il tempo perso e hanno iniziato a rincorrere impegni, scadenze e urgenze, e la stanchezza è diventata il fondamento delle giornate di tutti, ma senza poterla esplicitare perché “ora che hai ripreso, mica vorrai allentare?”.
È così da due anni e la ruota non sembra rallentare. Come dicono Andrea Colamedici e Maura Gancitano: “Essere stanchi è oramai un sottinteso nella nostra società: a cambiare è soltanto la quantità di questa stanchezza diffusa. Essere stanchi, esausti, sfibrati, è diventata una condizione primaria, senza la quale aleggia su di noi subito il senso di colpa.”
Ecco, quindi, perché si sente così parlare di rischio burnout.
Lo “stress da lavoro”
Il famoso “stress da lavoro” esiste ed è riconosciuto dall’OMS (Organizzazione Mondiale della sanità).
Si tratta di una vera e propria sindrome che prende il nome di burnout: termine inglese che significa letteralmente “esaurito”, bruciato”, “consumato” e che è entrato ufficialmente, nel maggio 2019, a far parte della International Classification of Disease (ICD), il testo di riferimento globale per tutte le patologie e le condizioni di salute.
I ritmi intensi, le richieste pressanti e la responsabilità lavorativa in combinazione alla tendenza ad identificarsi con la propria professione, determinano spesso un grande investimento di energie e risorse che, nel tempo, può facilitare la comparsa di questa forma di esaurimento.
Questa sindrome è caratterizzata da un insieme di sintomi che derivano da una condizione di stress cronico associato all’ambiente lavorativo. Lo stato di malessere che deriva da questa patologia è strettamente collegato alla risposta individuale che ciascuno di noi ha in una situazione lavorativa altamente logorante dal punto di vista psico-fisico.
I sintomi da tenere sotto controllo
Lo stress da lavoro non si manifesta in modo improvviso, ma è un processo graduale che arriva a sfociare in una condizione di disagio e malessere sia fisico che psicologico. Si riconosce da una mancata risposta psicofisica adeguata alle situazioni e da un peggioramento nel rendimento delle prestazioni professionali.
Spesso chi soffre di questa patologia non si accorge subito dei sintomi, ignorando o sottovalutando i primi e fondamentali campanelli di allarme. È così che cefalee croniche, insonnia e mal di stomaco (dal punto di vista fisico) e affaticamento, delusione, logoramento, improduttività e insofferenza (dal punto di vista emotivo) vengono associate ad altro prima di arrivare a capire che si tratta di stress lavorativo, rischiando di sfociare in prostrazione e disinteresse per la propria attività professionale quotidiana. In queste situazioni spesso neanche la sera, i turni di riposo o i weekend sono di aiuto per recuperare.
Chi è colpito da burnout si sente svuotato emotivamente, fisicamente e mentalmente; inoltre tende ad aumentare il distacco mentale (evitamento) dal proprio lavoro, dai propri impegni e dalle persone che gravitano attorno ad esso (responsabili, colleghi, clienti, o altro) e questo si ripercuote in una scarsa efficienza personale e lavorativa.
I sintomi del burnout sono comunque molteplici e spesso difficili da riconoscere: mancanza di iniziativa, difficoltà a portare a termine i compiti, ridotto interesse verso il proprio lavoro, demotivazione, difficoltà ad andare al lavoro ogni giorno, atteggiamento di indifferenza, malevolenza e cinismo nei confronti dei destinatari della propria attività, assenteismo, senso di frustrazione, bassa autostima, senso di colpa, ma anche senso di fallimento, rabbia e risentimento, irritabilità e nervosismo, mancanza di attenzione e di creatività, e altri ancora.
Attenzione alle autodiagnosi!
Il burnout non va sottovalutato, considerandone i sintomi passeggeri e poco importanti: la demoralizzazione e la negatività per il proprio contesto possono sfociare, talvolta, anche in difficoltà più complesse da affrontare.
Allo stesso tempo stiamo attenti all’autodiagnosi: non tutto è burnout. Il burnout si riferisce soltanto al contesto lavorativo e, per definizione, non deve essere esteso ad altri ambiti della propria vita (situazioni di stress familiare, relazionale, scolastico, o altro).
Questo fenomeno occupazionale non va confuso, inoltre, con disturbi specificamente associati allo stress, nonostante alcune manifestazioni sintomatologiche possano essere condivise.
Non si tratta di burnout quando lo stress lavorativo è solo temporaneo, prevedibile e limitato nel tempo e le reazioni all'impegno psicofisico regrediscono con brevi pause di recupero.
Quindi prima di etichettarci con una sindrome che non abbiamo proviamo a modificare le nostre abitudini lavorative e ad adottare nuove misure utili a contrastare lo stress nella quotidianità, se la situazione non dovesse migliorare, allora consultiamo un professionista che possa aiutarci.
Consigli pratici per stare meglio
Vediamo quali potrebbero essere quelle modifiche comportamentali che potrebbero farci stare meglio o che potrebbero prevenire una situazione di esaurimento:
- Rispettare le proprie esigenze, ritmi del sonno, alimentazione, attività fisica e svago, ritagliandosi del tempo per fare ciò che piace;
- Fissare obiettivi ragionevoli, senza pretendere troppo da sé stessi;
- Quando la mole di lavoro sembra davvero eccessiva, definire le priorità con il vostro superiore oppure, se è possibile, delegare ad altri alcune delle mansioni da portare a termine;
- Coltivare spazi di recupero e trovare del tempo per staccare la spina sarà di grande aiuto per alleviare lo stress lavorativo;
- Ritagliarsi il tempo per mangiare con calma e farlo godendosi la propria pausa pranzo. Vietato mangiare davanti al pc rispondendo a mail o al telefono;
- Organizzarsi al meglio il lavoro. Per alleviare lo stress provare ogni giorno a organizzare gli impegni creando delle liste. Questo darà maggior respiro e una visione più serena della giornata;
- Concedersi delle pause. Quando si sente che lo stress inizia a salire prendersi una pausa di pochi minuti. Staccarsi da email, telefono, computer e smartphone. Se possibile, alzarsi dalla scrivania, andare alla finestra o fuori e fare almeno 5 respiri profondi;
- Personalizzare la propria scrivania con oggetti, foto, disegni e souvenir che riportino alla mente momenti felici e spensierati e che facciano sentire “nostra” e “piacevole” quella postazione;
- Ascoltare musica quando è possibile. La musica ha un grande potere distrattivo, catartico e rilassante, se si sente lo stress che sale ascoltarsi un brano che ci piace può alleviare quella pressione.
Prevenire è meglio che curare
Il segreto per non accumulare stress è sempre quello di prevenire piuttosto che curare e adottare uno stile di vita che aumenti la nostra resilienza verso lo stress.
Rispettare le nostre esigenze psicofisiche di sonno, cibo, relax e svago è fondamentale.
Ma se, nonostante questo, lo stress non accenna a diminuire, altrettanto importante è saper chiedere aiuto.
Prima di tutto rivolgetevi al vostro datore di lavoro facendogli presente che avete bisogno di rallentare, subito dopo cercate uno specialista che possa aiutarvi.
In conclusione, cari miei lavoratori, dimenticatevi del modo di dire “chi si ferma è perduto”, ora bisogna dirsi: “CHI NON RALLENTA È PERDUTO”.
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Dott.ssa Simona Turchetti, psicologa.
Si occupa di abilitazione e riabilitazione. Gli incontri possono essere rivolti a individui di ogni età, coppie e famiglie.
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