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PERSONALE SANITARIO E INCARICO A TEMPO DETERMINATO COVID 19: SCELTA TRA PENSIONE O RETRIBUZIONE

Il personale sanitario a cui è stata sospesa la pensione di vecchiaia per aver accettato un incarico a tempo determinato Covid 19 potrà optare per il ripristino della pensione a partire dal 1° giugno 2021 in luogo dell’erogazione dello stipendio.
Per ottenere il ripristino occorrerà una dichiarazione presentata al datore di lavoro (azienda sanitaria) che provvederà ad inoltrarla all’INPS.

Incarichi a tempo determinato Covid 19


La prima importante novità è relativa agli incarichi conferiti ai sensi dell’articolo 3-bis del dl n. 2/2021. La disposizione in argomento consente (dal 13 marzo 2021) alle aziende sanitarie di conferire, con scadenza non oltre il 31 dicembre 2022, incarichi retribuiti al personale sanitario messo in quiescenza avendo maturato i requisiti anagrafici e contributivi per il pensionamento di vecchiaia.

Nell’articolo si stabilisce che il trattamento previdenziale per le mensilità per cui l’incarico è retribuito viene sospeso.

L’INPS attraverso le precedenti circolari, ha chiarito che questa norma si applica solo al personale sanitario collocato in quiescenza con i requisiti per la pensione di vecchiaia (anche se in regime di cumulo dei periodi assicurativi) ai quali dal 13 marzo 2021 siano stati conferiti incarichi a tempo determinato.

Non riguarda invece:

  • i soggetti titolari di altri trattamenti pensionistici (es. quota 100, pensione anticipata, pensione di anzianità, ecc.)

  • i soggetti che hanno accettato un incarico di lavoro autonomo o co.co.co ai sensi dell’articolo 2-bis del dl n. 18/2020

  • i medici assunti a tempo determinato in somministrazione per lo svolgimento delle vaccinazioni ai sensi dell’articolo 1, co. 461 della legge n. 178/2020.


Facoltà di opzione tra pensione o retribuzione


Il dl n. 73/2021 consente al personale sanitario di scegliere tra la pensione di vecchiaia o la retribuzione relativa all’incarico. Questo comporta che laddove il trattamento previdenziale risulti superiore, il personale potrà tenersi la pensione rinunciando alla retribuzione derivante dall’incarico.

L’opzione deve essere presentata dall’interessato all’azienda sanitaria e trasmessa da questa all’INPS che provvederà eventualmente al ripristino della pensione a partire dal mese successivo a quello durante il quale il pensionato ha percepito la retribuzione. Si ricorda che la facoltà di scelta tra pensione di vecchiaia e retribuzione relativa all’incarico non può avere decorrenza anteriore al 26 maggio 2021 (data di entrata in vigore del dl n. 73/2021) il ripristino della pensione potrà ritenersi effettivo dal 1° giugno 2021 in poi.

In caso contrario la pensione continuerà ad essere sospesa per tutta la durata dell’incarico, salvo diversa comunicazione da parte del datore di lavoro qualora l’incaricato scelga per il trattamento pensionistico al posto della retribuzione.

L’Inps chiarisce che l’eventuale sospensione è valida anche in presenza di una pensione di vecchiaia in cumulo a formazione progressiva, nel caso in cui alla data di conferimento dell’incarico retribuito non risulti ancora liquidato il pro quota a carico della Cassa professionale.

Incarichi di lavoro autonomo


La seconda novità riguarda gli incarichi conferiti dalle Regioni e Province Autonome a decorrere dal 30 aprile 2020.

Tali incarichi di lavoro autonomo, inclusi quelli di collaborazione coordinata e continuativa, riguardano dirigenti medici, veterinari, sanitari, nonché il personale del comparto sanità e gli operatori socio-sanitari collocati in quiescenza.

Agli incarichi in questione non si applica l’incumulabilità tra i redditi e il trattamento pensionistico c.d. “Quota 100”. Visto l’articolo 1, co. 423 della legge n. 178/2020, gli incarichi possono proseguire non oltre il 31 dicembre 2021 anche attraverso proroga.

Fino a questa data i relativi redditi percepiti continuano ad essere cumulabili con il trattamento pensionistico Quota 100, oltre che con tutte le altre tipologie di pensione.

L’incumulabilità reddito/pensione vige solo per il trattamento previdenziale dei lavoratori precoci (con 41 anni di contributi) nonché per l’Ape sociale.
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