La Corte costituzionale con sentenza n.162 del 30 giugno 2022, accogliendo una questione sollevata dalla Corte dei conti del Lazio sul cumulo tra pensione di reversibilità e redditi aggiuntivi del beneficiario, ha stabilito che al titolare di una pensione di reversibilità, che abbia redditi aggiuntivi, viene decurtato il trattamento pensionistico.
Tale decurtazione, tuttavia, non può essere superiore all'ammontare complessivo dei redditi aggiuntivi.
La normativa sulle pensioni di reversibilità prevede dal 1995 il cumulo dei redditi di pensione con gli altri redditi percepiti dal beneficiario. Se questi redditi ulteriori non superano il triplo del trattamento minimo (attualmente pari a 523,83 euro; la cifra viene rivista ogni anno in base all’andamento dell’inflazione rilevata dall’Istat), la quota di reversibilità spettante al superstite è pari al 60% dell’importo della pensione percepita dal coniuge deceduto.
Quando i redditi personali del superstite sono compresi tra tre e quattro volte il trattamento minimo, la pensione di reversibilità scende al 45% dell’importo che spettava al coniuge defunto. Con altri redditi del beneficiario che vanno oltre il quadruplo del trattamento minimo la pensione di reversibilità scende al 36%, e se superano il quinto la pensione di reversibilità spettante è solo del 30% dell’importo base.
In molti casi quindi si arriva a percepire una pensione di reversibilità che è meno di un terzo di quella “intera”.
Per evitare decurtazioni eccessive, è prevista una clausola di salvaguardia, in base alla quale la pensione di reversibilità ridotta per cumulo con altri redditi non può essere inferiore al trattamento che spetterebbe al beneficiario se il suo reddito fosse compreso entro il limite massimo della fascia immediatamente precedente. Inoltre, se nel nucleo familiare vi sono figli minorenni, o studenti o inabili, non si applica nessun limite di cumulabilità tra la pensione di reversibilità e gli altri redditi.
Negli ultimi anni, molte riforme e molti interventi dei Giudici stanno modificando l’istituto della reversibilità, da ultimo proprio la sentenza n. 162 del 30.6.2022, con la quale la Consulta ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il combinato disposto del terzo e quarto periodo dell’articolo 1, comma 41, della Legge n. 335 del 199, e della connessa Tabella F, nella parte in cui, in caso di cumulo tra il trattamento pensionistico ai superstiti e i redditi aggiuntivi del beneficiario, non prevede che la decurtazione effettiva della pensione non possa essere operata in misura superiore alla concorrenza dei redditi stessi.
Rispetto a tale disposto, la Corte Costituzionale ha accolto la questione di legittimità sollevata dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, in riferimento all’art. 3 della Costituzione.
Questo, nell’ambito di un giudizio instaurato dalla titolare di un trattamento di reversibilità che, anche se aveva goduto del cumulo tra la pensione predetta e dei redditi aggiuntivi maturati per due annualità, si era vista applicare decurtazioni in misura superiore a detti redditi.
La Consulta ha chiarito che è pienamente legittima una norma che riduca la prestazione di reversibilità in presenza di altri redditi del superstite, purché la riduzione risponda ad un criterio di ragionevolezza. Ma questo criterio non può dirsi rispettato nel momento in cui consente decurtazioni del trattamento di reversibilità in misura superiore ai redditi aggiuntivi goduti dal beneficiario nell’anno di riferimento. «Risulta alterato, in tal modo, - spiega la Corte - il rapporto che deve intercorrere tra la diminuzione del trattamento di pensione e l’ammontare del reddito personale goduto dal titolare, il quale si trova esposto a un sacrificio economico che si pone in antitesi rispetto alla ratio solidaristica propria dell’istituto della reversibilità».
In tal caso, infatti, «il legame familiare che univa il de cuius al titolare del trattamento di reversibilità, anziché favorire quest’ultimo – mediante il riconoscimento di una posta aggiuntiva rispetto ai redditi che egli produca – finisce infatti paradossalmente per nuocergli, sottraendogli non solo l’ammontare corrispondente alla totalità dei redditi aggiuntivi prodotti, ma anche una parte dello stesso trattamento di reversibilità».
Per la Corte, in definitiva, per ricondurre a ragionevolezza le disposizioni censurate, è necessario introdurre un tetto alle decurtazioni del trattamento di reversibilità operate a causa del possesso di un reddito aggiuntivo: in presenza di altri redditi, quindi, la pensione di reversibilità può essere decurtata solo fino a concorrenza dei redditi stessi.
A seguito della pronuncia della Corte costituzionale dunque l'Inps con parere conforme del Ministero del lavoro è tenuto a modificare le modalità di riduzione degli assegni delle pensioni di reversibilità.
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