Green pass per i negozi tradizionali (eccetto alimentari e farmacie), salvi i supermercati.
“È inaccettabile che per acquistare gli stessi prodotti io abbia bisogno del green pass se mi rivolgo alla distribuzione tradizionale, mentre non mi serve se entro in un supermercato. Con questa norma il Governo di fatto favorisce una concorrenza “sleale” ai danni dei negozi, che già fanno salti mortali per sopravvivere tra calo dei consumi, crisi da Covid e caro bollette”. Non usa mezzi termini il presidente della Confcommercio aretina Francesco Butali nel commentare il nuovo Dpcm che fissa l’elenco di esercizi esonerati dal chiedere la certificazione verde ai propri clienti dal 1° febbraio.
“Abbiamo sempre accettato il green pass, convinti che possa essere uno strumento per dare un impulso decisivo alla campagna vaccinale, aumentare i livelli di sicurezza e non chiudere più le nostre attività. Lo abbiamo considerato un “male necessario” per uscire più in fretta dall’incubo della pandemia, nonostante le complicazioni burocratiche e gestionali che derivano dalla sua applicazione e che gravano solo sulle nostre spalle. Ma non possiamo tollerare che diventi un mezzo per creare figli e figliastri tra le imprese”, continua Butali.
“Ora si sfiora il ridicolo – spiega – senza certificazione verde posso acquistare un giornale, un profumo, una pentola al supermercato ma non posso farlo nei negozi specializzati che vendono solo questi prodotti, dove probabilmente mi fermerei giusto il tempo necessario per gli acquisti, condividendo lo spazio con un numero assai inferiore di persone”.
Confcommercio chiede quindi che il Governo torni sui suoi passi: “a più livelli stiamo facendo pressione perché il legislatore corregga l’evidente anomalia in tempo per l’entrata in vigore dell’obbligo”, dice il presidente Francesco Butali, “non è solo una legittima questione legittima di principio, si tratta di evitare altre perdite di incassi e fatturato a piccole e medie imprese già provatissime”.
“Con gli ultimi Dpcm sembra di essere tornati ai provvedimenti d’urgenza che hanno scandito i primi mesi della pandemia, quando un imprenditore andava a dormire la sera senza sapere se il giorno dopo avrebbe potuto aprire bottega oppure no. Dopo due anni, stiamo ancora all’emergenza, a barcamenarsi tra regole e regoline che fanno troppi distinguo sul possesso di green pass semplice o rafforzato, sui luoghi in cui sono obbligatori oppure no, sull’età dell’obbligo vaccinale, e, quel che è peggio, ancora una volta si scarica sui negozianti l’onere dei controlli. Troppe regole equivalgono a nessuna regola, sono ingestibili. Una semplificazione sarebbe stata auspicabile”.
Lo sconforto del terziario è alto anche sul fronte dei sostegni: “altro che ristori, qui c’è bisogno di fermare i costi. I contributi a fondo perduto ora servono a pagare le bollette di gas e luce, schizzate fino al doppio o al triplo. Di questo passo, e a fronte di incassi sempre più bassi, per molte imprese licenziare sarà l’unico modo per sopravvivere ancora un po’. Ma quando tornerà la ripresa, il nostro Paese si troverà senza imprese e senza personale qualificato. Stiamo fiaccando la libera impresa e stiamo disperdendo un patrimonio di saperi che sarà difficilissimo da ricostruire”, conclude amaro il presidente della Confcommercio aretina.